Nome dell'autore: onceuponro

La dittatrice della nanna

Quando chiedo ai genitori degli altri bambini dell’ora della nanna molto spesso mi raccontano di sceneggiate napoletane, drammi e tante altre storie inquietanti.Perché spesso l’ora della nanna non è che inquietante quando si tratta di bambini. Se sei uno di quei genitori che dice a suo figlio di andare a letto, lui ci va, si addormenta da solo e rimane lì tutta la notte per poi svegliarsi alle 8 di mattina senza drammi e cazzate varie, allora non possiamo essere amici. Ok dai, sto scherzando, possiamo essere amici, però per favore non raccontarmi di quanto sia bravo tuo figlio a fare la nanna. No, davvero. Il resto di noi comuni mortali passa un bel po’ di tempo ogni giorno a combattere una guerra perché i bambini hanno assoluto bisogno di riposo per crescere. E noi abbiamo bisogno che loro dormano per riuscire a conservare almeno una parvente sanità mentale. Quando arriva sera qui a casa, incomincio a fare pressing emotivo su mio figlio già subito dopo cena. “Amore di mamma, fra poco è ora della nanna, quindi cerchiamo di stare calmi, abbassiamo le luci, leggiamo un libro insieme così vedrai che riposerai meglio.”. Questo è quello che succede qui dalle 19:30 in poi. Ebbene sì, sono una di quelle mamme che entro le 20:30 ha bisogno che suo figlio sia a letto, felicemente addormentato. Così io posso dedicarmi interamente a farmi gli affari miei (dal cazzeggio su Facebook allo studio, dal riordino del soggiorno al guardare una puntata di qualche serie tv su Netflix con mio marito. Il tutto ovviamente con la più piccola attaccata al seno, ma sono fiduciosa che questa situazione durerà al massimo pochi altri mesi e poi potrà fare la fine del fratello ed essere messa a letto ad un orario decente anche lei). Comunque. L’ora della nanna è la mia ora preferita del giorno, quella in cui torno ad essere anche una persona (senziente o quasi) e non solo una mamma. L’ora della nanna è il periodo di tempo che serve a noi mamme per poter tirare il fiato e trovare l’energia per affrontare la giornata che verrà. Sono le uniche ore in cui mi è permesso parlare con mio marito senza essere interrotta continuamente, oppure non parlargli affatto e godermi il silenzio. Sono i momenti in cui posso fare un “catch up” con i canali YouTube che seguo e recuperare ciò che mi sono persa o rispondere a quella serie di messaggi che sono rimasti in sospeso sul cellulare. L’ora della nanna è tempo di guerra, ma la ricompensa è enorme. Questo è il motivo per cui mio figlio ha una routine rigida che gli consente, come vi ho anticipato, di essere felicemente addormentato per le 20:30. Noah non è mai stato un bambino che dormiva molto. Quando è nato ha iniziato immediatamente a soffrire di coliche e quando queste sono finite, ha iniziato a soffrire per via dei denti. Non c’era mai pace. Questo, unito al suo carattere esplosivo ed attivo non gli consentiva di riposare come doveva. All’inizio tutti mi dicevano che non c’era modo di creare una routine della nanna senza utilizzare quei metodi che francamente aborro nel modo più assoluto (Estiville, Ferber e quell’altra mandria di Dissennatori qui troveranno riscontro zero) con un neonato. Effettivamente avevano ragione. Ma un bambino quando finisce di essere un neonato? A quanto ho capito questo stadio di evoluzione finisce intorno all’anno di età. E questo per me significava che io non avrei avuto pace fino a circa quel momento. Per me non era fattibile. Avevo necessità assoluta di recuperare me stessa (almeno un minimo) quindi, quando Noah ha compiuto 8 mesi ho iniziato una sorta di studio casalingo dei metodi per fargli fare la nanna e dargli una sorta di schema che gli consentisse di riposare al meglio. La prima cosa che ho fatto è stata cercare online. Ho visto che le varie mamme provavano a loro spese che far saltare i riposini al bambino non solo non era d’aiuto ma trasformava i loro bambini in piccoli mostri urlatori. Non fidandomi dell’esperienza altrui ho deciso di provare. Il risultato mi ha stupito. Le altre mamme avevano ragione. Non solo Noah era indemoniato, ma quando finalmente si è addormentato (dopo un paio d’ore davvero avvilenti), il suo sonno era disturbato e al risveglio lui era irritabile. Dopodiché ho trovato una regola che sembrava avere senso, almeno per noi. Ovvero la regole del 2, 3 e 4. Osservando mio figlio mi ero accorta che c’era questo schema. Si svegliava al mattino, dopo un paio d’ore ricominciava ad avere sonno. Si addormentava per un pisolino (da un minimo di 20 minuti ad un massimo di un’ora), poi rimaneva sveglio circa 3 ore e si addormentava ancora ed infine, dopo altre 4 ore era pronto per la nanna della sera. Capito questo ho voluto aggiustare il tiro per far sì che Noah arrivasse sia ai pisolini che alla nanna della sera il più sereno possibile. E sì, sono anche già stata criticata per questo ma davvero mi importa poco se mi consente di far riposare il mio bimbo al meglio. Lui aveva, ed ha tutt’ora, una routine serale della nanna. Questo è quello che faccio io on mio figlio, per noi funziona benissimo però, visto che tutti i bimbi sono diversi, con i vostri potrebbe non funzionare. Ma torniamo a noi. Tra le 19 e le 19:30 si cena. Sì, lo so che è presto, ma siamo abituati così. Dalle 19:30 alle 20:10 si fanno dei giochi molto tranquilli con tanto di voci basse e luci soffuse. Oppure il piccolo ha il permesso di guardare dei video su YouTube insieme al papà (sì, non venite a rompermi le palle per il fatto che il piccolo ha accesso al tablet. È così e basta. Forse voi siete contrari, ma io glielo consento senza problemi per massimo una ventina di minuti la sera e sempre sotto sorveglianza di un adulto) o insieme a me. Finito quel momento ci si

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Allattamento al seno

Quando ero incinta del mio primo bimbo avevo deciso che avrei dovuto partorire in un ospedale “amico del bambino”. Pur non essendo ancora mamma avevo le idee ben chiare sul tipo di mamma che sarei voluta diventare. Volevo fare il rooming-in (avere il mio bambino in stanza con me 24/7), volevo un valido sostegno per l’allattamento e volevo, avendo dovuto programmare un cesareo, avere comunque un parto dolce che mi consentisse fin da subito di creare un legame col mio cucciolo. Agli effetti, col senno di poi, posso dire che è stato esattamente così. La cosa che più mi ha stupita è stato che in quell’ospedale ci tenevano davvero all’allattamento al seno. La prima cosa che è stata fatta non appena Noah Severus è venuto alla luce è stata metterlo sul mio petto. Mi stavano ancora ricucendo in sala operatoria e avevo già il mio bambino appoggiato addosso che cercava di abituarsi a questo nuovo mondo. La sua unica certezza in quel momento ero io. L’ostetrica che seguiva il mio parto mi ha spiegato che permettere subito a mamma e bambino di creare un legame avrebbe anche aiutato il corretto avvio dell’allattamento al seno. Onestamente ero un po’ scettica. Non credevo che sarei stata in grado di allattare, per questo volevo un ospedale che mi “rompesse le scatole” spronandomi a farlo. Pensate che durante la gravidanza, quando ero incinta di circa 8 mesi, stavo cenando ed ero a tavola con mio marito, improvvisamente ho sentito un forte prurito al capezzolo, mi sono grattata e da lì è uscita una goccia di latte. In quel momento il mio primo istinto è stato quello di correre verso il bidone della spazzatura e vomitare. Ecco. Diciamo che l’idea di allattare non solo non mi attirava, ma provavo anche un certo ribrezzo al pensiero di farlo. Le premesse quindi erano tutt’altro che buone. Una volta uscita dalla sala operatoria Marinella (l’ostetrica che mi ha seguita durante il parto) ha preso quel fagottino di mio figlio tra le braccia e me lo ha attaccato al seno. Nello specifico al seno destro. Non ho vomitato, giuro. Però la sensazione è stata tutt’altro che piacevole. Era quasi, come dire, doloroso. Quando l’ho fatto notare a Marinella lei ha preso il fagotto, l’ha staccato e l’ha attaccato al seno sinistro. E così, in men che non si dica, mi sono ritrovata ad avere entrambi i capezzoli lacerati. Questo non l’ho capito fino al giorno dopo, quando ho visto che il capezzolo destro era ko. Nel vero senso della parola. Era tagliato a metà e usciva sangue. Le infermiere del reparto hanno fatto di tutto per me. Mi hanno messo la lanolina prima e dopo ogni poppata, hanno controllato che l’attacco del bambino fosse corretto e mi hanno addirittura sottoposta ad un trattamento laser per favorire la cicatrizzazione dei capezzoli. A quel punto attaccare il mio cucciolo risultava talmente doloroso che mi sono data per vinta. Forse, dopotutto, allattare non faceva per me. Intanto Noah Severus piangeva disperato. Secondo me aveva una fame da lupi. Ho insistito affinché gli venisse data un’aggiunta di latte artificiale. Nessuno voleva accontentarmi ma sono stata talmente insistente che alla fine hanno ceduto. Avevano solo un tipo di latte, in quell’ospedale nessuno sembrava pensare che l’allattamento con il late formulato fosse una buona opzione per me e per mio figlio. Il biberon di aggiunta è stato letteralmente sbranato dal piccolo che non pareva mai sazio. A discapito di quello che mi veniva consigliato io aggiungevo più grammi di latte artificiale e lo attaccavo sempre meno al seno. Alle dimissioni nessuno avrebbe scommesso un centesimo sul fatto che avrei continuato ad allattare e francamente, non avrei scommesso nemmeno io su di me. Noah Severus sembrava un bambino irrequieto che continuava a piangere disperato e a contorcersi come se stesse male. L’ho portato quasi subito dal pediatra distrettuale. Mister simpatia mi ha spiegato che è normale che i bambini piangano tanto, che probabilmente ero io che non mi sapevo prendere cura di lui e che avrei dovuto coccolarlo di più ed imparare a consolarlo. Il giorno dopo ho cambiato pediatra. Il secondo mi ha detto che erano indubbiamente coliche e mi ha prescritto un farmaco per fermarle. Il farmaco in questione funzionava una volta su 10 e il bambino continuava a piangere sempre, disperatamente. Io e mio marito non dormivamo più, sembravamo davvero due zombie. Non so nemmeno come arrivavamo a sera, o al mattino dopo. Lui doveva anche andare a lavorare e per quanto cercasse di supportarmi io stavo uscendo di testa. Continuavo a dargli l’aggiunta di latte formulato e ad attaccarlo occasionalmente al seno. Ho cambiato diverse marche di latte ed infine mi sono buttata su quello specifico per coliche. Niente pareva funzionare. Poi la svolta. Nonostante non fossi rientrata pienamente al lavoro dovevo necessariamente fare una trasferta in Emilia Romagna. Mi sono fatta accompagnare da mio marito e mi sono portata dietro il bambino. Disgraziatamente mi ero dimenticata a casa il kit preparato con latte artificiale, biberon, acqua ecc. Ho guardato mio figlio e gli ho detto “Mi dispiace cucciolo, dovrai accontentarti del latte di mamma, spero che non morirai di fame fino a domani”. Quella è stata la prima notte in cui siamo finalmente riusciti a dormire. Il piccolo si è svegliato una sola volta per attaccarsi al seno e poi ha dormito sereno per parecchie altre ore. Ricordo che il mattino dopo l’ho cambiato e vestito ma lui non si è svegliato. Prima della riunione di lavoro ho cercato di attaccarlo al seno ma niente, non voleva svegliarsi. Sembrava che avesse un estremo bisogno di dormire. Una volta rientrati gli ho preparato un biberon di aggiunta. Di lì a poche ore il pupo aveva ricominciato a piangere disperato. A quel punto mi è venuto il dubbio che effettivamente poteva essere l’aggiunta il problema. Ho chiamato una pediatra che mi era stata caldamente consigliata da un’amica ed ho preso appuntamento da lei per la settimana dopo. All’appuntamento sono stati eseguiti dei

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Dentizione: guida alla sopravvivenza

Se sono le 7 del mattino e sei davanti allo specchio del bagno ma non sai come ci sei arrivata e stai osservando quei cerchi neri tatuati intorno ai tuoi occhi, probabilmente hai anche tu un piccolo cucciolo di uomo che sta mettendo i denti. Per mia esperienza diretta, so quanto sia difficile affrontare questo momento della loro crescita. Con il mio Noah Severus ricordo notti interminabili di pianti e assolutamente senza sonno. Adesso la tiritera pare ricominciata. Questa volta però, a differenza della prima, sono più preparata e so già come attrezzarmi per provare a dare sollievo a questa piccolina che sembra così smaniosa di crescere. Quello che riporto qui è quello che ho provato col mio primo figlio. Alcune cose hanno funzionato meglio, altre peggio, ma se è vero che ogni bambino è un essere unico ed irripetibile, forse vale la pena tentare ogni rimedio a disposizione. Anche perché noi mamme siamo stanche e abbiamo il sacrosanto diritto sia di dormire che di vivere serenamente senza sentire un pupetto che strilla infastidito tutto il giorno (e tutta la notte, sigh!). Quindi care colleghe mamme, di seguito quello che ho provato io. Sentitevi liberissime di commentare e farmi sapere cos’avete usato voi e com’è stata la vostra esperienza con la dentizione dei vostri pupi. Sia mai che mi potete aiutare a trovare IL rimedio definitivo. Grazie e buona lettura <3 Le fiale di Camilia. Sono state la salvezza per noi. Per sicurezza avevo chiesto alla pediatra come utilizzarle al meglio, mi ha spiegato che in farmacia o i pediatri in generale, erano soliti consigliare di utilizzare la boccetta intera magari una volta al giorno. Lei invece mi ha spiegato che dato che ne bastano poche gocce una boccetta può essere usata per più di una somministrazione, quindi anche un bel risparmio visto che non è proprio a buon mercato. Ne basta una spruzzatina in bocca et voilà. Quante volte al giorno? Dipende da quanto è infastidito il pupo in questione. Io ho iniziato dandole una spruzzatina al mattino appena sveglia, una dopo pranzo e una la sera prima della nanna. Nei giorni in cui è più infastidita invece, una spruzzatina, gliela dò anche una volta ogni ora. Tanto ne bastano pochissime gocce. Potete trovare la Camilia in farmacia, in parafarmacia e anche qui: https://amzn.to/2HBwgDp . Adesso che è arrivato il caldo immagino che il fastidio alle gengive sia come minimo raddoppiato. Ogni volta che la piccola riesce ad afferrarmi un dito, se lo mette in bocca e lo mastica. Quando vedo che è proprio frustrata tengo il dito qualche secondo sotto l’acqua fredda e poi glielo offro. L’altro giorno però ho deciso di provare qualcosa di diverso. Siccome mi ero appena tirata il latte ne ho preso un po’ e l’ho messo in freezer nella formina per fare il ghiaccio. Dopo un paio di ore ho preso la retina (ve la linko più avanti), che già avevo perché era del mio primo bimbo, ho messo il latte materno ghiacciato dentro e l’ho proposto alla piccola. Niente, era in estasi. Se non allattate si può tranquillamente fare anche con il latte formulato o, se i pupi sono più grandi, con purè di frutta (fatto in casa o acquistato). La retina la potete trovare nei negozi di articoli per l’infanzia oppure anche al supermercato. Altrimenti qui: https://amzn.to/2JFpba5 . I giochini e collane in legno. Potete trovarne alcuni di molto belli qui: https://amzn.to/2MddZzP . E qui: https://amzn.to/2LGrSpk . Questi giochini possono intrattenere un po’ di tempo i pupi. I materiali con cui sono fatti sono assolutamente sicuri e possono quindi essere rosicchiati dai nostri topolini in tutta tranquillità. La collana può anche essere usata come collana d’allattamento. Se abituati fin da subito, i pupi giocheranno con quella, senza strizzare/pizzicare/tirare la pelle della mamma (santa pazienza!!). Biscotti per la dentizione. Questi li ho sperimentati con il mio bimbo. A 18 mesi due molari inferiori hanno deciso di fare capolino insieme. Per tenerlo buono ed impegnato gli ho comprato dei biscottini per la dentizione in un supermercato germanico. Sfortunatamente in Italia non li ho più trovati di conseguenza ho deciso di cimentarmi nel ricrearli a casa. Sono velocissimi e facili da preparare. Basta mescolare 200g di farina con 200g di avena, 1 cucchiaio di olio di cocco, 1 banana schiacciata, 1 spruzzata di cannella e circa 80ml di acqua. Valutate voi le quantità ideali per voi. C’è chi preferisce un impasto più liquido e chi più solido. Comunque, basta dare la forma preferita all’impasto (io facevo delle palline piccole e poi le appiattivo con un cucchiaio) e via, in forno a 190 gradi (io usavo il programma sopra e sotto, statico) per circa 15-20 minuti. Una volta sfornati li lasciavo raffreddare e poi via, in un bel barattolo, li conservavo per una settimana circa, anche perché poi finivano. Con la scusa dei biscotti sani ogni tanto li mangiavo anch’io (mannaggia!!!). L’allattamento al seno, se si decide o lo si può fare, è un’ottima medicina. Sia per le proprietà calmanti del latte stesso, che per la suzione. Il pupo si calma e si consola grazie alla sua mamma. Quando tutto il resto non funziona, io mi butto sul “magico” bagnetto. L’acqua calda (attenzione alla temperatura) rilassa il cucciolo e lo calma. Per amplificare questo effetto io tendo a riservarmi quest’arma per la sera prima della nanna. Quando opto per il bagno rilassante, non lavo la mia piccola con saponi, gel ecc. Uso invece 5 gocce di olio essenziale bio alla lavanda vera direttamente nell’acqua. L’olio essenziale alla lavanda è uno dei pochi che si può usare con sicurezza a contatto diretto con la pelle, anche di bimbi davvero piccoli come la mia, che ha appena 4 mesi. Questo bagnetto in particolare favorirà il rilassamento del cucciolo che grazie alla combinazione della temperatura dell’acqua, le coccole di mamma (papà, zia, nonna o chi voi preferite) e l’olio essenziale, riuscirà ad addormentarsi con più facilità e riposare serenamente. Potete trovare l’olio essenziale bio alla lavanda vera

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Quello che ho imparato sullo stare in albergo con i bambini. I miei 10 trucchi per un soggiorno top.

Fin da quando ero piccola sono stata abituata dai miei genitori a viaggiare. Il primo viaggio lungo che ho fatto e di cui ho memoria è stato in Canada e io dovevo ancora compiere 5 anni. Quando sono diventata mamma ho deciso di non rinunciare a questa parte della mia vita e, d’accordo con mio marito abbiamo portato il nostro piccolo Noah Severus a fare un weekend lungo a Rimini quando aveva appena un mese. Da allora abbiamo raggiunto diverse mete, sia per pochi giorni che per periodi medi o lunghi. Abbiamo quasi sempre soggiornato in hotel e, nell’arco di questi ultimi 3 anni, ho imparato un po’ di trucchetti che mi hanno salvata da disagi e brutte esperienze. Oggi ho deciso di condividerli con voi di modo che possiate decidere se usarli o meno. Gestire i pannolini sporchi. Generalmente la cosa che non manca mai nella mia valigia o nella borsa da viaggio dei miei figli sono le bustine da alimenti dell’Ikea. Sono i miei salvavita, davvero. Li uso sia per i pannolini sporchi che per i piccoli incidenti di fuoriuscita che spesso i piccoli hanno. Li uso per impacchettare i loro cambi prima della partenza, di modo da avere gli abbinamenti già pronti e per metterci dentro i vestiti quando sono sporchi. Comunque…qualche volta, nella fretta, mi è capitato di scordarli. Le prime volte sono andata in crisi. Quando avevamo dei pannolini sporchi da smaltire, mandavo mio marito alla ricerca di bidoni nei bagni comuni o all’aperto pur di non averli in camera. Perché, provate voi a restare in una stanza d’albergo con un pannolino sporco e puzzolente. Vi sfido a farlo e rimanere vive e vegete. Quello che potete fare è usare i sacchetti per la lavanderia che vi forniscono in camera oppure anche, a mali estremi, la cuffia di plastica per la doccia. Almeno così non morirete soffocate in quella benedetta stanza d’albergo! Rendere la stanza a prova di bambino. O comunque proteggersi da piccoli incidenti. E questo lo si può fare portando sempre in valigia un rotolo di nastro americano. Perché proprio il nastro americano? Perché è più resistente rispetto al nastro di carta o al semplice scotch. Lo potrete usare sia per coprire i buchi della presa della corrente che per bloccare armadi e cassetti. Questo accorgimento l’ho imparato a mie spese dopo varie volte in cui passavo il tempo a cercare di far capire a mio figlio che le ante degli armadi non dovevano essere sbattute. Evitare di far cadere dal letto i pupi. Questa sì che è stata per lungo tempo una sfida. Noah Severus ha quasi sempre dormito nel lettone con me e mio marito in vacanza. Però quando faceva i suoi pisolini era spesso da solo. Le modalità per prevenire di farlo cadere dal letto cambiano a seconda del viaggio che faccio. Se sono in macchina ho spazio a sufficienza per portarmi dietro una sponda da viaggio come questa: https://amzn.to/2kKpJ0o . Se sono in aereo, treno o non ho la possibilità di avere molto spazio ripiego sempre sui cuscini extra. Basta chiedere in accettazione (o alla signora delle pulizie) che vi vengano portati in camera di modo che possiate usarne un paio in più per prevenire la caduta dal letto dei piccoli. Sorvegliare i piccoli mentre dormono. A casa nostra usiamo ormai da 3 anni questi monitor per controllare il nostro bimbo mentre dorme : https://amzn.to/2J6fBO5 . In viaggio è sempre stato un problema perché, come dicevo prima, non sempre abbiamo abbastanza spazio per portarci dietro tutti i nostri “attrezzi del mestiere”. L’anno scorso è capitato che per poter pranzare io e mio marito facessimo i turni al ristorante. Mentre addormentavo il piccolo andava lui e successivamente lui rimaneva a sorvegliarlo mentre io andavo a pranzare. Questo è successo per 2 giorni. Dopodiché mi è venuto in mente di usare i nostri cellulari con le videochiamate. Un cellulare rimaneva in stanza inquadrando lui e l’altro ce lo portavamo dietro al ristorante. Il tratto di strada tra il ristorante era brevissimo naturalmente. In tutto, cronometro alla mano e senza correre, la stanza era raggiungibile in un minuto. Bloccare fuori dalla stanza il rumore. Se siete delle viaggiatrici sapete bene che l’albero è un ambiente rumoroso e, per quanto si possa richiedere una stanza tranquilla, c’è sempre la possibilità che qualche rumore inconsulto possa disturbare il sonno dei nostri piccoli. Noi abbiamo l’abitudine di dormire con una macchina del rumore che blocca appunto, fuori dalla stanza, tutti i rumori indesiderati. Al momento ne abbiamo 2, una per casa (questa  https://amzn.to/2xBS81B ) e una per quando siamo in viaggio (questa https://amzn.to/2xCLKHH ). Ci è capitato di recente, durante un weekend a Milano, di dimenticarla a casa. Siamo riusciti a compensare con un’app del telefono, ma non è assolutamente la stessa cosa. Un fasciatoio sempre disponibile. All’inizio sia io che mio marito impazzivamo con asciugamani srotolate sul letto ad ogni cambio pannolino. Questo finché non ho pensato di “istituirne” uno fisso anche in viaggio. Nelle stanze d’albergo spesso e volentieri c’è una scrivania. O magari un tavolo. Ecco, solitamente quando arrivo uso un asciugamano arrotolato come cuscino, e un altro asciugamano come “materassino”. E la postazione diventa subito fissa. Chiudere quelle maledette tende. Non si sa come mai ma in albergo le tende non riescono mai ad oscurare completamente la stanza. E raramente sono dotate di tapparelle, veneziane ecc. Quello che faccio io è portarmi da casa queste: https://amzn.to/2sAPofu . Se me le dimentico non faccio altro che utilizzare le grucce da gonna che spesso sono di serie negli armadi delle stanze. Acqua calda sempre disponibile. Mi è capitato di dover avere a disposizione dell’acqua calda per poter preparare un biberon di latte a mio figlio dopo che avevo smesso di allattare. Per lui è una coccola prima di andare a nanna che ancora non vuole abbandonare quindi devo essere sempre attrezzata. Quello che ho fatto io è stato acquistare questo piccolo bollitore da viaggio: https://amzn.to/2srRHCd . Se doveste dimenticarlo a casa, potrete

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Quando la tua migliore amica non è più tale

Se devo essere onesta non sono mai stata una persona tipo #miglioriamichepersempre. No. Ho anche sempre mal sopportato quelle sdolcinate manifestazioni di affetto che spesso vedo su FB. Tipo la classica foto di due ragazze abbracciate dopo una nottata passata a folleggiare insieme in giro per locali, visibilmente distrutte, con la didascalia “Sono così fortunata ad avere te come mia migliore amica <3” e l’hashtag #cosìfortunata. Amo la celebrazione vera dell’amicizia, che sia su una piattaforma social e quindi pubblica o che sia in un messaggio mandato ad una amica alle 6 di mattina. Da quando si hanno bambini poi, celebrare l’amicizia o quantomeno vedersi, diventa sempre più difficile. Spesso quello che si fa con le amiche è rimbalzare di data in data e proporre gli appuntamenti più impensabili sui gruppi Whatsapp perché se una può, l’altra di sicuro non può e così via. E da un momento all’altro ti accorgi che sono passati nove mesi da quando hai visto una delle tue più care amiche. Però ti consoli pensando che comunque, quando vi vedrete, passerete del tempo di qualità insieme, magari davanti ad un gustoso Veneziano, chiacchierando come se vi foste viste l’altro ieri. Ma quando invece sai che non sarà più così? Quando sai che la tua cara amica non è più così cara o nemmeno più amica? Quando si ha un bambino, che lo si voglia o no, che si sia pronte o no, la propria vita cambia. Si affrontano diverse questioni per cercare di fare ordine nella propria vita. Si buttano via alcuni vestiti che non si useranno più (con la scusa “Sì beh, adesso sono una mamma, non mi vestirò più così” quando invece la realtà è che non rientreremo più in quel determinato vestito, o magari ci rientreremo anche, ma l’effetto non sarà più lo stesso”), si cerca di rendere la casa a prova di bambino (almeno per cercare di mantenerlo in vita il più a lungo possibile), si cerca di rimanere al passo col lavoro, anche se si è in maternità, perché si sa che al giorno d’oggi rimanere aggiornati è importante. E le amiche? Eh. Ci si rende conto che mantenere in vita un’amicizia è davvero un lavoro. Un duro lavoro. Soprattutto se sommato a tutto il resto. L’arrivo di un bambino in famiglia è un momento duro da affrontare, specialmente se si tratta di un primogenito. Ed è così delicato come momento che forse non si è in grado di dover gestire anche lo stress di quella semplice telefonata in più, parlando con la propria amica di quell’ultimo appuntamento che lei ha avuto con quel dato uomo o di quella litigata fatta con sua sorella. O forse si sarebbe anche in grado di fare tutto questo, ma non se ne ha semplicemente la voglia. Personalmente questo mi è stato chiaro già dai primi tempi della prima gravidanza. Sapevo, non so come, che mantenere determinati rapporti, con alcune amiche, sarebbe stato più faticoso che attraversare a nuoto lo Stretto di Messina con un mini-tanga in pieno Dicembre indossando dei tacchi a spillo al posto delle pinne. La cosa triste è che non pensavo ad amicizie superficiali e nate da poco. No, pensavo ad alcune persone che conoscevo da decenni. Di primo acchito ho pensato che forse sarebbe stato opportuno dare una possibilità alla nostra amicizia e cercare di mantenerla viva impegnandomi al massimo. E così ho fatto. Durante la gravidanza ho cercato di essere presente a cene/pizzate/aperitivi il più possibile, anche se magari sarei stata meglio sdraiata sul divano con le gambe alzate oppure direttamente a letto a dormire. Mi sono anche spinta ad andare a ballare una sera. Poi però per vari motivi di salute (la mia prima gravidanza è stata tutt’altro che facile) ho dovuto smettere di presenziare a certi eventi. Inizialmente ero presente “con lo spirito”, sempre aggiornatissima su dove fosse l’amica di cui sto parlando nello specifico, sempre disponibile via sms, Whatsapp, Skype e chi più ne ha, più ne metta. Poi, via via che passavano i giorni, l’amica in questione mi aggiornava sempre meno e io, con amarezza, ammetto che non ne ero particolarmente dispiaciuta. Mi sentivo un po’ ferita nel vedere foto in cui sarei dovuta essere presente, ma la vita del bimbo che portavo in grembo era indubbiamente più importante ed era la vita che avevo scelto per me da quel momento in avanti, quindi cercavo di non essere troppo rammaricata. Questo finché una mattina, sveglia dalle cinque, sempre più ingombrante ed affaticata, prendo il telefono, apro l’applicazione di Facebook ed eccola lì. Una coltellata al cuore. La foto della mia amica con un’altra ragazza. Con l’hashtag #miglioriamichepersempre. Ok, ci ero rimasta ufficialmente di merda. Lì per lì non sapevo come comportarmi. Dovevo stare zitta? Parlarne? In cuor mio avrei preferito parlarne, per è difficile tenermi le cose dentro. Alla fine ho pensato che sarei passata per cretina se avessi aperto bocca e me ne sono stata zitta. Man mano che i giorni passavano mi rendevo conto di aver fatto la scelta giusta. Ero però consapevole del fatto che il rapporto con la mia amica si stesse raffreddando. Di brutto proprio. Un giorno mi arriva la notifica che sono stata taggata in una foto. Vado a vedere di cosa si tratta e mi rendo conto che è l’invito ad un compleanno. Guardo i nomi delle persone invitate e mi accorgo che la mia amica non è sulla lista. Vado a cercarla per dare una sbirciata al suo profilo e non la trovo. Scomparsa. Strano, penso. Lei è assolutamente social, non starebbe mai senza Facebook. Un’idea si fa largo nella mia mente “Mi ha bloccata”. Controllo su Whatsapp, Instagram ecc. Mi aveva bloccata ovunque. Tolta, eliminata. Come se non fossi mai esistita, come se quasi vent’anni di amicizia non contassero un cazzo. E va bene, ho pensato, avrà fatto le sue valutazioni e avrà deciso che era meglio così. Pochi giorni dopo la vita ha preso il sopravvento ed è nato mio figlio Noah. Dire

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I giorni oscuri delle mamme

Tutte le mamme hanno giornate scure, nere. Sono giorni che iniziano magari alle 5 del mattino e ancora non ci siamo nemmeno alzate dal letto. Giorni in cui non possiamo sentire ancora una volta il lamento di nostro figlio che ci chiede di comprargli questo o quello, giorni in cui non possiamo pulire un’altra volta quel sedere, giorni in cui non vogliamo essere più costantemente toccate da qualcuno, giorni in cui non possiamo ricevere un’ulteriore richiesta di quello specifico snack. Sono giorni di estrema stanchezza, non solo fisica, ma anche mentale. Giorni in cui ci sembra di portare sulle nostre spalle il peso del mondo intero. Proviamo sensazioni connotate dalla negatività di quei momenti: tristezza, rabbia, paura, nostalgia non si sa bene di cosa. Sono momenti ed emozioni assolutamente normali ed è inutile prenderci in giro, siamo state tutte in quei posti bui. Ognuna di noi ha bisogno di cose diverse per poter tornare a far risplendere la nostra serenità interiore e di conseguenza tornare a risplendere anche esteriormente. Quello di cui non abbiamo assolutamente bisogno è di una persona che ci faccia notare quanto siamo fortunate ad essere madri e quanto non siamo in grado di apprezzare quello che Dio ci ha donato. In quei giorni non abbiamo bisogno di sentirci dire “non sei sola”, perché in quel momento nessuno è con noi, a parte nostro figlio che strepita e urla sdraiato sul pavimento perché il camioncino con cui giocava fino a ieri è ancora blu e non giallo come lui aveva detto che lo avrebbe voluto. Nessuna vuole sentirsi dire “Passerà”, perché in quel preciso istante nostro figlio sta sbraitando che non vuole mangiare quella mela sbucciata e tagliata a spicchi, lui la voleva con la buccia e tagliata rotonda (e poi spiegatemi cosa cavolo vuol dire?!). In quel preciso istante gli stiamo rispondendo a tono perché le abbiamo provate tutte per fagli mangiare la mela, perché non può mangiare sempre e solo banane o fragole. In quel preciso istante siamo “scazzatissime” e imbufalite e stiamo sbraitando anche noi. E siamo esattamente le mamme che non saremmo mai volute essere. In quei giorni non venire a dirci “devi goderti ogni attimo” perché in quell’attimo non possiamo goderci proprio niente. In quell’attimo siamo sporche perché un neonato richiede cure 24 cavolo di ore al giorno e sono almeno 3 giorni che non riusciamo a farci una doccia, abbiamo i capelli unti, arruffati e tirati su con un mollettone, le occhiaie che ci arrivano al mento e la maglia piena di macchie di latte e rigurgito. Non venire a dirci “una casa in disordine e sporca è normale quando hai figli” perché noi non siamo te e alcune di noi (io ad esempio) diventano ansiose e magari anche dispotiche se casa nostra è ricoperta di roba appiccicosa e di giocattoli in ogni stanza. Per alcune di noi il disordine in casa equivale a disordine mentale e confusione. Per la maggior parte di noi, le giornate oscure non capitano tutti i giorni, e siamo assolutamente grate di questo. Ma quando ce ne capita una, l’ultima cosa che vogliamo è un consiglio condito da zucchero e coperto di glitter rosa. Quel consiglio che dovrebbe lenire il dolore che proviamo e aiutarci ad uscirne. Quel dolore è reale e, come ogni dolore, fa male. Abbiamo quella spada di Damocle sulla testa e non possiamo fare altro che aspettare che passi. Quello che ci può aiutare di più, a mio modesto parere, è la commiserazione, la comprensione di quelle stesse di noi che sono state in quelle giornate oscure e ne sono uscite. Vogliamo qualcuno che ci dica “Guarda, stai tranquilla, è successo anche a me”. Questa è l’unica cosa che ci può far stare meglio. Come mamme diciamo sempre ai nostri figli di parlare dei loro sentimenti. Noi capiamo e comprendiamo, o almeno ci proviamo, che i loro sentimenti e le loro emozioni sono veri, reali e necessitano di cure ed attenzioni. Lavoriamo con i nostri bambini per far sì che loro riescano ad entrare in contatto con queste emozioni e che poi, una volta esaurite, o capite appieno, riescano a lasciarle andare. Lo stesso vale per noi. Anche noi meritiamo di avere il tempo di digerire queste emozioni e questi sentimenti. Anche se ci sentiamo arrabbiate, ferite, miserabili. Tutte noi amiamo i nostri bambini immensamente e profondamente. Sappiamo che siamo benedette ad averli nelle nostre vite e fortunate dato che possiamo passare del tempo con loro. In quei giorni oscuri però abbiamo bisogno anche di guardare in faccia la nostra realtà e permetterci di essere oneste verso noi stesse al 100%. Anche a costo di sembrare ingrate, frignone o cattive. Siamo esseri umani. Non siamo perfette. E non è giusto che qualcuno ci venga a dire che dobbiamo sempre essere splendenti, belle, amorevoli, cucciolose ecc. Dobbiamo essere integre e oneste, ed accettare anche i nostri momenti no. Questo in rispetto di noi stesse e anche delle altre mamme. Quante di noi almeno una volta si sono sentite inadatte o “cattive madri” perché proprio altre mamme sembrano avere il “segreto della mamma perfetta” in tasca? Quante di noi si sarebbero sentite meglio se una loro amica le avesse detto “Sì beh, sai qual è la verità? Alcuni giorni essere madri fa proprio schifo. E sì, a volte sei talmente sola in questo che se dici una parola ne puoi sentire l’eco”. Non abbiamo bisogno che qualcuno ci ricordi che ci mancherà tutto questo e che dobbiamo vivere l’attimo e custodirlo nel nostro cuore. Lo sappiamo già che ci mancherà. Sappiamo anche che le giornate no passeranno. Certo che lo sappiamo. Ma quando attraversiamo una di quelle giornate, abbiamo anche bisogno di sederci un secondo e riflettere sulle nostre emozioni senza pretese o sensi di colpa. È così che si “guarisce” in quei giorni. È così che la luce può iniziare a farsi spazio nel buio di quei giorni così oscuri.

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Muore a 4 anni Adalynn Sooter

Ci sono momenti della mia vita in cui non riesco a controllare le mie emozioni e queste si palesano. Ieri sera è successo leggendo la storia di una dolcissima bimba e vedendo la foto di lei e del suo fratellino. Mentre i miei occhi scorrevano la storia di questa cucciola mi si è spezzato il cuore. E vedere la foto di cui ho accennato prima mi ha definitivamente fatta a pezzi.  La piccola si chiamava Adalynn “Addy” Sooter, nata in Arkansas (USA) nel 2014. Due anni fa le era stato diagnosticato un DIPG (tumore intrinseco diffuso del ponte), un tumore del cervello molto aggressivo che miete vittime quasi esclusivamente fra i bambini. I genitori di Addy si sono accorti che qualcosa non andava nel momento in cui hanno visto che la piccola aveva delle difficoltà nel camminare. Da lì la tragedia ha avuto inizio. Adalynn si è sottoposta a 33 cicli di radiazioni e ha fatto un viaggio della speranza in Messico per tentare una cura sperimentale che però non ha funzionato. Il tumore ha continuato a svilupparsi incessantemente fino a quando non è stato troppo tardi. Il primo di giugno i genitori di Addy l’hanno riportata in Arkansas, dove la piccola è stata ricoverata in un centro di cure palliative per malati terminali. Il signor Matt Sooter ha pubblicato sulla sua pagina Facebook (Hope for Addy Joy – Fighting DIPG) la foto che potete vedere qui sotto, con questa didascalia: “Un piccolo bimbo non dovrebbe mai dover dire addio alla sua migliore amica, compagna di marachelle e giochi, la sua piccola sorellina. Non doveva andare a finire così. Ma questo è il mondo malato in cui viviamo”. Adalynn Soother è morta il 3 giugno di quest’anno, all’età di 4 anni, poche ore dopo che questa foto è stata scattata. I suoi genitori hanno donato il tumore della piccola alla scienza, sperando che questo possa essere di aiuto per la lotta contro questo tipo di cancro. Dalla foto si riesce a leggere l’amore di questo fratello per la sua sorellina. Le tiene una mano sulla fronte, per consolarla e lei, quasi sicuramente incosciente, si aggrappa a lui, come a volersi aggrappare alla stessa vita, al conforto. Pensare a questi genitori, a quel dolcissimo piccolo bimbo che ha perso una delle persone più importanti della sua vita mi lascia atterrita e attonita. E mi fa apprezzare questa vita, che spesso sottovalutiamo o svalutiamo per cose che, paragonate alla vita stessa, non hanno alcun valore.

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