Nome dell'autore: onceuponro

LE 7 COSE SCHIFOSE CHE FANNO I BAMBINI

Sì ok, diciamocelo: i bambini a volte sono davvero schifosi. Prima di avere Noah non ero di certo preparata ad avere in casa pannolini pestilenziali, chiazze di saliva e caccole. Queste sono solo alcune delle voci nella lista dei contro che mi vengono in mente quando penso alla possibilità di avere un terzo figlio. Cose totalmente antigeniche, insondabili e non menzionabili. Eppure, mi sono preparata psicologicamente a menzionarle qui, per voi. Per una questione di privacy non dirò da chi vengono fatte queste nefandezze. Ah no, aspettate. Invece ve lo posso dire, tanto non c’è privacy su internet no? Ecco, allora, queste cose vengono fatte da un campione di circa 10 bambini. Figli miei e di mie amiche con cui mi sono persa a parlare di questi amabili argomenti. Quindi ecco a voi 7 cose disgustose (e potevo usare termini ben peggiori) che fanno i bambini:   FANNO BEN ALTRO CHE MANGIARSI LE CACCOLE. Se già non lo sapevate, ve lo dico io. I bambini scavano nelle loro cavità nasali non solo per tirare fuori quelle verdognole, e a quanto pare gustosissime, caccolone e mangiarsele. No, a loro non basta assaporarle manco fossero caramelle gommose. Loro ci costruiscono cose. Tipo dei murales. Sui muri. Oppure le usano come collante per appiccicare i pezzi di lego ai mobili. Sì lo so, fa schifo, ma è così. FANNO LA CACCA NELLE PISCINE PUBBLICHE. Oh sì, succede pure questo. Anche se il tuo dolce e adorato cucciolo ha fatto la cacca appena prima di essere messo in ammollo nel suo specialissimo pannolino contenitivo vai tranquilla, la rifarà anche dopo 10 minuti. Se sei fortunata il pannolino sopracitato conterrà la perdita, altrimenti ti troverai piena di vergogna a cercare di raccattare pezzi di cacca dall’acqua della piscina. TIRANO FUORI RESTI PREISTORICI DI CIBO DA LUOGHI IMPENSABILI E LI DIVORANO. Un mesetto fa ho visto mio figlio che masticava, e io non gli avevo dato nulla, quindi gli ho chiesto di aprire la bocca e farmi vedere cosa stava masticando con tanta golosità. Signore e signori, era un pezzo di uovo di cioccolato di Pasqua. Ed era praticamente Agosto. E sì, lo so che avevo detto che non avrei fatto nomi per una questione di privacy, ma non ho resistito. FANNO DEGLI INTRUGLI DISGUSTOSI CON IL CIBO. Se volete potete chiamarla curiosità culinaria. Anzi no, chiamatela temerarietà culinaria. Vogliono per forza sapere cosa succederà mescolando un bicchiere di latte, con un po’ di ketchup e dello spezzatino di tacchino. Intendevo dire cosa succederà nella loro bocca. Perché hanno davvero il coraggio di mangiare quello schifo. E li vedi anche soddisfatti e contenti del loro esperimento. USANO QUALSIASI COSA COME TOVAGLIOLO, PURCHÉ NON SIA UN TOVAGLIOLO VERO. E se ne fregano se tu sei vestita di tutto punto e pronta per uscire. Arrivano e si strofinano quel musetto lercio contro la manica della tua camicetta di seta. Oppure, dopo aver mangiato delle patate al forno particolarmente condite, e dopo aver loro chiesto di lavarsi le mani, trovi delle ditate di olio sulle lenzuola del tuo letto. Rigorosamente il giorno in cui le hai cambiate. RIEMPIONO LE LORO GUANCE DI CIBO COME UN CAZZO DI CRICETO SIBERIANO. Sì, perché a quanto pare per loro ha senso usare la bocca come un deposito di cibo. Quindi vale assolutamente la pena immagazzinarci dentro qualunque tipo di prelibatezza e renderla un pappone informe e gommoso. Quindi dopo che avrai servito a tua figlia la cena, non ti stupire se all’ora della nanna sta ancora masticando lo stesso pezzo di carne. E ringrazia Dio che te ne sei accorta perché era ora di lavarsi i denti prima della nanna. Altrimenti poteva andare avanti delle ore. USANO QUALSIASI COSA COME CARTA IGIENICA, ANCHE SE NON SI TRATTA DI CARTA IGIENICA. Ricordo il racconto di una carissima amica che una mattina si è svegliata e dopo essersi lavata il viso, si è asciugata lo stesso con il suo asciugamani beige personale. Solo che si è accorta che puzzava. E sopra c’era una striscia di un colore scuro non ben identificata. Ecco. Sappiate che l’amica in questione da allora ha cambiato casa e adesso ha un suo bagno personale. Che chiude rigorosamente a chiave.  

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Asilo nido: il momento dell’inserimento

Ok, ce l’hai fatta. Hai finalmente rotto lo schema del congedo parentale. Lì si stava piuttosto bene. Era una sorta di varco spazio-temporale in cui non riuscivi bene a capire se la passeggiatina che stavi facendo per far addormentare il tuo bambino si stava svolgendo di giorno o di notte. Era un momento in cui non trovavi del tempo reale per mangiare, quindi mentre poppavi ti pappavi (scusate il gioco di parole, ma era necessario) un panino col prosciutto e la maionese oppure una girella al cioccolato. Era il tempo in cui mentre il tuo bambino dormiva (per venti minuti, s’intenda), tu ti dedicavi ad una doccia lampo oppure alla lettura di un libro su come essere un genitore migliore. Bene. Quel tempo è ufficialmente finito, grazie a Dio. Adesso puoi (o forse devi, ma questo è tutto un altro paio di maniche) tornare alla routine della tua vita. E adesso chi accudirà il pupillo di casa? Se sei come me e non avevi a disposizione nonni, zii, cugini o la fottuta Mary Poppins ti sei dovuta rivolgere ai professionisti del settore. Tra le varie opzioni a tua disposizione hai deciso di scegliere l’asilo nido. Perché? Perché nell’immaginario collettivo è un luogo fatto di giochini di legno, piccoli tavolini con minuscole sedie e tutto dipinto rigorosamente di rosso, giallo, verde e blu. A volte nella realtà le cose sono piuttosto diverse, proprio per questo hai fatto grandi ricerche sulle strutture disponibili. Quali sono le caratteristiche da “controllare” quando si è alla ricerca dell’asilo nido per il proprio cucciolo? Beh, questo è piuttosto soggettivo. C’è a chi interessa la posizione geografica della struttura perché la vuole vicino a casa o vicino al lavoro. C’è chi è più interessato alla linea pedagogica seguita dalle educatrici. Chi vuole che il cibo sia preparato in struttura. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. La cosa però che sta più a cuore a tutte noi (dalla prima all’ultima) è l’inserimento del nostro bambino. Quando è toccato a me è stata una tragedia. Non per il bambino. Per me. Noah aveva 1 anno e 1 mese e io non mi sentivo pronta al distacco. Però ero sufficientemente esaurita e avevo bisogno di tornare al lavoro in modo spensierato e, perché no, avere un po’ di tempo per me stessa. La struttura che ho scelto io usava fare 2 settimane di inserimento, prima con la mamma (o con il papà, nonno, babysitter ecc.) e poi gradualmente senza di lei. So che ci sono strutture dove l’inserimento viene fatto in 3 giorni, ma io non mi sarei sentita pronta a una cosa di questo tipo. Comunque…il nostro inserimento è stato eterno. Più di un mese perché io non ero pronta a lasciare il mio bambino, perché lui si è preso un raffreddore nonostante fosse luglio, perché non volevo vedere il mio bambino piangere. Alla fine però ce l’abbiamo fatta e i risultati sono stati stupefacenti. Noah ha imparato da subito a socializzare con gli altri bimbi e il suo vocabolario si è almeno triplicato nel giro dei primi due mesi. Parlando con le altre mamme mi sono resa conto di quanto l’argomento “inserimento” stia a cuore a tutte in modo speciale. Ho pensato quindi di fare una piccola intervista alle tre figure di riferimento quando si parla dell’argomento. Ed ecco che è nato questo articolo. Parleremo con l’educatrice Antonella Coccinella, con la pedagogista Marta Granata e con la psicologa Valentina Candela. Ho rivolto alle 3 esperte delle domande e loro sono state così cortesi da rispondere e farci contente. Le domande sono state raccolte in vari gruppi di mamme di cui faccio parte. Quindi, la parola alle nostre figure di riferimento. Antonella Coccinella – Educatrice di asilo nido (per inciso è stata una delle maestre del mio piccolo Noah e sarà anche la maestra della mia piccola Zoey) D: “Secondo la tua esperienza lavorativa qual è l’età “giusta” per iniziare a frequentare il nido?” R: “In base alla mia esperienza posso affermare con certezza che più il bambino è piccolo, meno avrà difficoltà ad ambientarsi al nido. A mio parere, 6-7 mesi sono l’età ideale perché il bambino, nella maggior parte dei casi, sta seduto autonomamente ed ha già iniziato il divezzamento.” D: “I bambini da che età iniziano ad interagire tra di loro?” R: “I bambini iniziano da subito ad interagire tra loro, ovviamente le forme di interazione sono diverse. Le prime forme di interazione sono fatte da sguardi, sorrisi e vocalizzi. Nella seconda metà del primo anno di vita, i bambini interagiscono tramite gli oggetti. Un comportamento molto frequente è quello di dare, prendere o scambiare un gioco con un altro bambino. Sono tutti forme di interazione. Tra i 2 e i 3 anni, con lo sviluppo psico-cognitivo e con lo sviluppo del linguaggio, ovviamente le forme di interazione si evolvono, fino ad arrivare ai 3 anni dove spesso nascono le relazioni amicali (il bimbo si sceglie l’amico del cuore, con il quale ha piacere di svolgere la gran parte delle attività.” D: “Frequentare il nido può aiutare un bambino timido ad imparare a relazionarsi con gli altri con più serenità?” R: “Sicuramente! Al nido il bambino entra in contatto con gli altri bambini, di diverse fasce d’età e anche con altri adulti, figure di riferimento diverse dalle abituali figure familiari. Questo lo aiuterà sicuramente nello sviluppo delle sue facoltà di socializzazione.” Marta Granata – Pedagogista specializzata in consulenza e pratica filosofica e analista biografica a orientamento filosofico D: “Come ci si può approcciare ad un rifiuto del bambino verso la novità del nido (ambiente, maestre, bambini)? R: “Quando si inserisce il proprio bimbo al nido è importante ricordare che questo momento è delicato sia per i bambini che per le mamme o gli adulti che li accompagnano. Spesso per i bimbi è la prima esperienza di distacco dal proprio genitore e per la mamma è il primo momento di distacco dal proprio bimbo. È un’esperienza nuova in cui i bambini si trovano a dover conoscere un nuovo ambiente

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Avere 2 figli piccoli: la verità

Ciao a tutti. *Sbadiglio* Oh, lo so, scusatemi. Sono le 8 di mattina e mi sto strofinando gli occhi ingurgitando il mio secondo caffè della giornata mentre Zoey fa il suo riposino. Non so nemmeno come ho fatto a farla addormentare visto che Noah è ancora a casa ed è più arzillo che mai. Sta aspettando la nonna che lo porterà al nido. I suoi ultimissimi giorni di nido. Sembra ieri che abbiamo fatto l’inserimento. Va beh, sto divagando. Mentre sorseggio il mio caffè cerco di convincere mio figlio a smetterla di urlare “SONO UN PIRATAAAAA!!!” impugnando la sua sciabola giocattolo e saltando giù dal divano. Come mi è anche potuto solo passare per la testa di tirare fuori il portatile e iniziare un nuovo articolo mentre lui è ancora a casa? Ah già, ho pensato che sarebbe stato buono quei 15 minuti prima dell’arrivo di sua nonna. Sbagliato. Chiudo tutto e riproverò più tardi.   Ecco. Mi sono fatta un chai al cioccolato. Sulla mia tazza c’è scritto “I have the best mom in the world” (Ho la mamma migliore del mondo). Me l’hanno regalata Leo e Noah per la mia prima festa della mamma. C’è anche una foto di me e del bambino. Peccato che in questi giorni io non mi senta affatto la migliore mamma del mondo, anzi. Mi sembra di vivere dei giorni quasi eterni in cui io sono una spettatrice passiva di tutto quello che succede. I bambini stanno entrambi passando una fase “critica”. Noah è ancora alle prese con la faccenda “arrivo della sorellina” e Zoey è alle prese con il suo secondo dentino. Ed è tutto un INFERNO. Perché? Perché crescere 2 bambini così piccoli è estenuante. E no, non sono semplicemente stanca, sono esausta. Emotivamente, mentalmente e fisicamente esausta.   Quando ho fatto la pipì su quel test di gravidanza (che conservo ancora per la cronaca) ed è comparsa la seconda linea sapevo che sarebbe stata dura avere due bimbi con meno di 3 anni di differenza, ma mai avrei pensato che sarebbe stato così difficile. Mi sono trovata catapultata in un mondo dove tutto era doppio. Doppi pannolini sporchi, doppi pianti e doppio caos in casa.   All’inizio è stata dura. Adesso è ancora più dura, giuro. Quando sono rimasta incinta per la seconda volta (gravidanza cercata e fortemente voluta) la maternità stava appena cominciando ad essere più semplice. Mio figlio andava al nido la mattina, io potevo lavorare in serenità, passavo a prenderlo prima di tornare a casa, giocavamo durante il pomeriggio, poi cenavamo e infine nanna. I denti li aveva già messi tutti e a parte qualche raffreddore non ha avuto grandi disagi. Ero così naive all’epoca. Non sapevo che la situazione sarebbe precipitata a breve.   Adesso mi ritrovo con un bimbo di 3 anni e una piccolina di 6 mesi. E sono letteralmente nei guai. E no, non sono drammatica, sono solo realista. Game over per Roberta. Se siete curiosi di sapere perché dico questo, continuate a leggere. Ho elencato un paio di cosette.   1. MIO FIGLIO NON VUOLE CONDIVIDERE UN CAZZO: sì. È proprio così. E ci sta anche poverino. In fin dei conti ha vissuto 2 anni e mezzo della sua vita in cui tutto era a lui dedicato. Ogni attenzione, ogni giochino, addirittura la sua mamma. Tutto era per lui. Adesso si ritrova con una gnometta che vuole toccare i suoi giochini e che passa parecchio tempo attaccata alla sua mamma. Anch’io avrei le palle girate se fossi in lui. E in ragione di questo fa delle sceneggiate che manco a Napoli. 2. UNO DEI DUE È SEMPRE ARRABBIATO: l’unico momento in cui sono entrambi tranquilli e beati è quando dormono. E questo succede raramente. Il che ci porta al prossimo punto. 3. UNO DEI DUE È SEMPRE SVEGLIO: a parte di notte. Che però mi girano lo stesso le palle perché anch’io ho bisogno di dormire quindi quel tempo è perso, volatilizzato. 4. C’È SEMPRE UNA “FASE”: uno di loro sta sempre attraversando una fase che rende la vita invivibile. Come ho detto prima, uno è sempre irritato/irritabile. 5. USCIRE DI CASA SEMBRA UNA MARATONA: sempre. Se potessi stare chiusa in casa tutti i giorni, tutto il giorno (senza che io o i bambini andassimo fuori di testa), lo farei. L’intero processo dello stare fuori richiede talmente tanta energia e pianificazione che è meglio che ne valga la pena. Perché altrimenti oltre ad essere affaticata sarei anche irritata tutto il tempo. 6. LA SPESA È IMPOSSIBILE DA FARE: se dovessi descrivere a parole mie l’inferno, sarebbe proprio così, un supermercato, la spesa da fare e due bambini. Immaginatevi uno dei due che urla o piange o fa sceneggiate (questo solitamente il più grande). 7. LA CASA È SEMPRE UNO SCHIFO: avete presente un campo di battaglia? Ecco, generalmente casa mia ha quell’aspetto. Giocattoli ovunque. Residui di cibo ovunque. Ditate sui mobili (perché ovviamente all’epoca ho ben pensato di comprare dei mobili bianchi e lucidi) e sui vetri (grazie a Dio ho le zanzariere quindi da fuori non si notano). La lavatrice sempre da caricare o carica. L’asciugatrice sempre da svuotare e biancheria sempre da piegare.   Ecco. Questi sono solo alcuni dei motivi per cui avere due figli piccoli è davvero molto, molto faticoso. Riuscite a mettervi nei miei panni? Io credo proprio di sì. Ma non preoccupatevi, siamo in questo viaggio di mammitudine insieme. E questo ci fa sentire meno sole.   [ace_dropcap][/ace_dropcap]

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Appunto per l’estate: indossa ciò che vuoi!

Cari amici, l’estate è al suo culmine e il caldo ci sta uccidendo tutti. Dopo averne viste di cotte e di crude, direi che è il caso di fare quel discorsetto. Eh sì, ci tocca. Dobbiamo parlare di quale tipo di abbigliamento è adatto al tuo corpo. Considero questo pezzo un servizio pubblico e dunque “fruibile” da tutti, ma se sei una mia comare dal corpo curvy fai particolare attenzione alle mie parole, perché sono rivolte specialmente a te amica mia. Tagliamo corto per cortesia, che è sera, ho appena messo a letto Noah e Zoey si sveglierà tra poco per reclamare la tetta e non ho molto tempo. Hai presente quando passi davanti ad una vetrina e vedi quel bikini con fantasia giungla tutto colorato? Ti chiedi se starebbe bene col tuo incarnato. Col tuo corpo o anche col tuo umore. Allora ecco cosa devi fare. Non preoccuparti della tua pancia, delle tue cosce, dei buchetti della cellulite o delle tue fossette. E non mi interessa se sei la donna più curvy del circodario. Se pensi che quel benedetto bikini ti farà sentire bene, non rifletterci troppo. Entra e striscia il bancomat. O paga in contanti. O usa la carta di credito. Ma, per l’amor del cielo, compratelo!   So perfettamente che quello che sto “predicando” è più facile a dirsi che a farsi. So tutto di quella fastidiosissima vocina interiore che senti nella tua testa che ti chiede se sia o meno il caso di indossare quel costume. Lo so perché l’ho sentita anch’io. Ogni tanto la sento ancora adesso ma la faccio tacere a suon di vaffanculo. Anche nei giorni in cui mi sento più carina la sento e mi chiedo cosa pensano le altre persone di me che sono così spavalda da indossare quegli shorts in pubblico. Ma sai alla fine cosa penso? Che possono andare tutti a farsi fottere. Viviamo in un mondo dove la bellezza è celebrata, idolatrata, ma solo se incontra determinati criteri. E da quello che ho capito, quei criteri sono largamente basati su una determinata forma fisica e su una determinata taglia. Il che, onestamente, è una merda. Qui non sto parlando del fatto che sia salutare essere obesi, sia chiaro. Io sto parlando del fatto che dobbiamo cercare di vivere al meglio e più in salute possibile e che, alla fine della giornata, dobbiamo accettare noi stessi per quello che siamo, concentrandoci su ciò che realmente significa vera bellezza. La vera bellezza è proprio questo: l’accettazione di sé. Il supportare le persone che ci circondano e che amiamo. La bellezza è riconoscere che abbiamo quei buchetti della cellulite e decidiamo lo stesso di indossare quella gonna perché ci fa sentire bene. La vera bellezza è avere le smagliature e la pancia un po’ molliccia perché quella pancia è stata in grado di ospitare per venti cazzo di mesi due splendidi bambini. La vera bellezza è essere impenitentemente reali. E lo ripeto sottolineandolo. La vera bellezza è essere reali. E questo avviene in tutte le taglie e le forme, fintanto che siamo felici. Essere reali significa gioire della propria vita e assaporarla al meglio delle nostre possibilità senza privarci di qualcosa solo perché siamo preoccupati di quello che potrebbero pensare gli altri. Essere reali significa dare il meglio ai nostri cari, anche se questo significa che a noi rimane poco. È non essere egoisti ma forti e cercare al nostro meglio di rimanere umili. E cara mia, ti assicuro che se hai queste qualità, allora sei bellissima. E non devi scusarti proprio con nessuno. Ci saranno sicuramente le persone che non saranno d’accordo. Quelle che ti diranno che la taglia non c’entra nulla, che è tutta una questione di salute. Ti diranno che essere in sovrappeso è una vergogna e che per questo le donne come noi dovrebbero mettersi unicamente quel costume intero (possibilmente nero, anzi fanculo, mettiti direttamente un burkini!!) per non far passare il messaggio sbagliato. Però il punto è che essere una ragazza curvy non significa necessariamente seguire uno stile di vita sbagliato. Le persone, da fuori e superficialmente, non sanno niente di quello che fai nel tuo tempo se non ti conoscono. Non sanno se cerchi di mangiare sano o se fai dello sport. E questo solamente in base alla tua taglia. Non sanno che magari ogni mattina stai davanti allo specchio e ti chiedi cosa penseranno se indosserai quel top senza maniche. Non lo sanno. E probabilmente non lo sapranno mai. Quindi, fai quello che ti consiglio, e sbattitene di quello che pensano. Nella vita, anche se magari sono magrissimi, sono umani come te. Ogni tanto si infilano le dita nel naso, proprio come te. E come loro non hanno alcun diritto di giudicarti per ciò che indossi, anche tu dovresti farti i fatti tuoi e non giudicare costantemente il corpo delle altre persone pensando “guarda quella che strafiga” o “quell’altra è troppo magra” oppure ancora “che naso di merda ha quel tipo”. Fatti i cazzi tuoi e vedrai che pian piano imparerai a vivere alla grande.   Una donna che ama sé stessa, senza il bisogno costante di giudicare ed essere giudicata, guadagna una cosa di cui pochi parlano. La consapevolezza di sé. Ed è proprio questo il trucco, la grande verità. Nel momento in cui ti sentirai a posto con te stessa perché non ti importerà il giudizio degli altri, diventerai automaticamente più piacevole agli occhi di tutti. Te lo giuro, è così. L’ho provato sulla mia pelle. Io non sono mai stata una taglia 40. Forse nemmeno quando avevo 13 anni. Ma mi sono sempre piaciuta. E proprio per questo sono sempre piaciuta anche agli altri. Quindi non ti sto dicendo una stronzata. Non ti sto prendendo per il culo. Se sei in sovrappeso, cerca di migliorarti seguendo una vita sana ma senza privarti di un gelato. O di una pizza. O di una fetta di torta ogni tanto. E per l’amor del cielo, quando passi davanti a quella vetrina, comprati quel

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Smettetela di dire che vi dispiace

Quando una donna partorisce, la prima cosa che solitamente si vuole sapere è se “è andato tutto bene”. È stato un travaglio veloce o è durato un’eternità? La mamma ha voluto fare l’epidurale? O le è almeno stata offerta? È stato molto doloroso? Le è capitata una brava ostetrica? Ha partorito per via vaginale o con parto cesareo? Quando, qualche mese fa, ho avuto mia figlia Zoey il travaglio è andato male quasi dall’inizio. Ero di oltre 41 settimane, ero enorme, ero stanca e soprattutto ho avuto 2 giorni circa di prodromi. Ma che razza di parola è? PRODROMI. Sembra quasi una parolaccia. Comunque…si tratta di quel lasso di tempo che può andare da un paio di ore ad un paio di settimane (no, ma seriamente? Un paio di settimane??) in cui si hanno contrazioni dolorose ma irregolari sia nel tempo che nell’intensità del dolore. Dopo due giorni, in cui sapevo che sarei potuta entrare nel vero travaglio in qualunque momento, sono partite le vere contrazioni. Erano piuttosto regolari e sono arrivata in ospedale che erano ogni 10 minuti. Sì, lo so che dicono di aspettare che distino 5 minuti l’una dall’altra, ma avevo paura che succedesse qualcosa e soprattutto volevo l’epidurale appena possibile. E non voglio pipponi sull’epidurale, grazie. Arrivo in ospedale che ero di 1 cm ed erano le 21. “Bene” penso “ne mancano solo 9…”. L’ostetrica di turno voleva rimandarmi a casa ma ha capito che se lo avesse fatto sarei tornata lì dopo un’ora. Quindi ha fatto quello che andava fatto. Mi ha dato una stanza e mi ha spedita lì a travagliare con mio marito. Io ero preparatissima. Luci soffuse, musica della mia playlist Relax su Itunes, diffusore elettrico di essenze con olio essenziale di lavanda vera annesso, cuscinone da allattamento da abbracciare, cazzi e mazzi. Dopo vari tracciati e controlli, all’alba delle 5 di mattina ero di 4 cm e decidono di farmi l’epidurale. E comunque robe da matti che nel 2018 una debba combattere per avere l’anestesia epidurale. In quel momento ogni male del mondo è sparito e io volevo bene a tutti. A scapito di chi mi aveva sconsigliato l’epidurale, ero libera e felice. Camminavo, andavo in bagno, chiacchieravo amabilmente e mi sono anche mangiata una coppa del nonno; il tutto sentendo le contrazioni che come onde andavano e venivano ma senza provare la coltellata del pre-anestesia. Questo finché tutto non ha iniziato a precipitare. Con l’epidurale mi avevano attaccato una flebo di ossitocina per “velocizzare” la cosa. Quando l’anestesia ha smesso di funzionare ho ricominciato a stare male e a sentire dolori lancinanti, peggiori di quelli della nottata, anche perché non erano miei dolori, del mio corpo. No, erano causati da un farmaco. Dopo aver pregato l’anestesista di tornare da me, mi è stato fatto un altro bolo (anche qui, bolo??? Come il bolo di pelo che vomita il gatto?) di epidurale e nel mio mondo sono tornati unicorni e arcobaleni. Mentre l’ostetrica e io ci occupavamo di gossip ospedaliero ho cominciato a risentire i dolori di prima. Questo intorno alle 11:30. Mi fanno un altro bolo ma questo non ha cambiato la situazione. I dolori erano a mio avviso ingestibili nonostante l’anestesia. Nessuno sapeva dirmi cosa stesse succedendo. L’unica cosa che mi ripetevano era “Non possiamo farti un’altra dose perché tanto non servirebbe a nulla.”, e poi ormai ero dilatata di 9 cm. A mezzogiorno avevo raggiunto i 10 cm ma i dolori erano peggiori di prima. Sentivo che la schiena mi si stava letteralmente spezzando. Mio marito continuava a chiedere perché sentissi dolore alla schiena e l’ostetrica gli spiegava che dipendeva dalla posizione della bambina, che era rivolta con il viso all’insù e quindi farla uscire sarebbe stato più complicato. Ad un certo punto decidono che per me era ora di iniziare a spingere. Cari miei, sono state le 2 ore più infernali di tutta la mia vita. All’alba delle 14:30, senza più un briciolo di forza e senza il benché minimo progresso nella discesa della bambina, che tra il resto adesso era in palese sofferenza fetale, ho recuperato un briciolo di lucidità e ho chiesto che venisse immediatamente chiamato il ginecologo di turno. Quando è arrivata la dottoressa l’ho guardata negli occhi e le ho detto “Sono passate 2 ore e mezza, io sono al limite della sopravvivenza e sento che c’è qualcosa che non va, adesso è ora di portarmi in sala operatoria e far nascere questa bambina”. E così è stato. Alle 15:34, dopo una successiva anestesia spinale e un taglio cesareo, la mia Zoey Penelope ha visto la luce. Ed è andata bene così. È stato proprio grazie al quel salvifico cesareo che la mia batuffola è nata. Quindi potete ben immaginare la mia confusione quando mi sento dire “Oh, hai avuto un cesareo? Mi dispiace tanto per te.”. Ma che cazzo significa? Ho partorito un mostro? No, è una dolcissima e bellissima cucciola, andremo a casa fra qualche giorno e stiamo entrambe bene. La cosa è continuata per un po’ e non andava sempre così. A volte vedevo sguardi strani tra le persone con cui parlavo. Il tipo di sguardo che ci ti danno quando dici che tutta la famiglia si è presa la varicella e vedi nei loro sguardi che cercano di ricordarsi se loro l’hanno già avuta. Le parole peggiori che mi sono state rivolte “Mi dispiace che tu ti sia persa l’esperienza del parto”. Fatemi capire. Mi sono persa l’esperienza del parto? La bambina non è forse uscita dal mio corpo? Non c’era una piccola bambina che è cresciuta dentro di me per quasi 10 mesi e che in questo momento è sulle mie ginocchia attaccata al mio seno sinistro mentre sto scrivendo? Però tutti, o quasi, predichiamo bene e razzoliamo male parlando di cesareo. Diciamo che è ok farlo quando è necessario, però poi chiamiamo il parto naturale (o parto normale) riferendoci al parto vaginale. E poi tutte queste persone che ti dicono quanto dispiace loro il fatto che

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